Ricordo bene dov’ero quel giorno e credo che tutti coloro che hanno superato i sessanta se lo ricordino bene come me. Avevo quasi vent’anni quella sera, quando dopo poco le nove vidi mio padre uscire correndo di casa. Ero fuori dal cancello d’entrata , stavo scendendo dal furgoncino Wolkwagen di un’amica. Il mezzo iniziò ad oscillare paurosamente a destra e a manca. Guardai Francesca negli occhi come per dirle :”Ma cosa fai, scuoti il furgone?” Lei mi guardò con la stessa espressione e fu li, dopo che vedemmo mio padre uscire dal cancello che capimmo cosa stava succedendo.
La cosa diventò sempre più chiara dopo che passarono alcune ore. Incollati alla radio seguivamo i comunicati che si susseguivano incessanti riportando dati, luoghi, cifre sconvolgenti di morti e di distruzione. Passammo la notte all’aperto. Nei giorni seguenti divenne tutto più chiaro. Quasi duemila morti.
Imparammo tutti a conoscere i Friulani in quei giorni. Con alcuni amici organizzammo una piccola spedizione con un pulmino e lungo la strada che portava a Gemona si vedevano persone fuori dalle case che si davano da fare a rimuovere i detriti, a sistemare le cose. I friulani si rimboccarono subito le maniche e diventarono un esempio per tutta l’Italia. Non p’ersero tempo ad aspettare l’assistenza dello Stato e grazie alla loro tenacia e all’aiuto di migliaia di volontari accorsi da ogni dove, riuscirono in poco tempo a ricostruire tutto come prima. Rimasero ovviamente le ferite, quelle dell’anima, quelle che non si possono vedere e raccontare, per la perdita dei propri cari in quel modo così improvviso e orrendo. A noi un esempio di dignità e di grande impegno da parte di tutti coloro che sono stati direttamente coinvolti in questa grande tragedia.