Vajont 1963- 2021. Oggi il tragico giorno. 1910 vite spazzate via in pochi minuti.

Oggi è l’anniversario di un giorno vergognoso per l’Essere Umano. Quello che successe quella tragica notte non fu causato da “eventi straordinari” ma da ordinaria sete di danaro. La cupidigia trasformata in un’immensa Falce d’Acqua. Una Falce che in quattro minuti si è mietuta quasi 2000 vite. Moti erano bambini che avrebbero vissuto una vita felice tra quelle montagne dove erano nati, non sapendo che per un bieco interesse le loro vite valevano meno di quelle di un qualsiasi formicaio nel bosco. Ogni anno in questo giorno ripropongo il viaggio in bicicletta che feci nel 2013 in occasione del cinquantesimo anniversario. Da Codognè fin su alla diga, per meditare chilometro dopo chilometro sul peggior disastro causato dall’Uomo nella storia dell’Umanità. Un giorno in cui vale la pena meditare su quello che sono gli interessi spietati con la copertura dei politici corrotti. I veri “animali” nel senso spregiativo della parola, sappiamo sempre essere noi che ci facciamo chiamare “esseri umani”

Il 9 Ottobre 1963 una frana di 300 milioni di metri cubi collassa a valle in 40 secondi, il tempo di fare un caffe’ espresso, con una velocita’ di  65 km all’ora.

L’impatto muove una massa di 48 milioni di metri cubi d’acqua.Un onda di 80 metri investe le rive spazzando via case e vite. Un’enorme onda di 170 metri scavalca la diga e cancella in quattro minuti 1910 vite.

Erto con alle spalle l’immensa frana precipitata nel bacino della diga del Vajont. Non fu una tragedia ma un assassinio


Dopo la frana non esiste piu’ controllodel livelli del lago. Tutta la popolazione viene evacuata.
La causa penale.Dopo 32 anni la sentenza definitiva obbliga l’ENEL a pagare danni per 19 miliardi.Il 3 gennaio 2000 il comune di Erto Casso accogli la proposta con l’offerta di 9.399.515 Euro a fronte dell’abbandono delle cause in corso.
I responsabili del disastro riceveranno pene minime e non sconteranno carcere.
Viviamo in un Bel Paese dove convivenze e sotterfugi sono all’ordine del giorno.
Nel 1963 morirono 1910 persone, quasi ottocento erano bambini sotto i quindici anni.
Oggi i suicidi per le difficoltà’ della crisi sono molti di più’ ma ormai non fanno più notizia. Il problema rimane, come cinquant’anni fa. Fanno i loro porci comodi e se la gente muore, beh, fa parte della statistica. Quando fate benzina, la prossima volta, ricordate che 6 centesimi sono di accise ( tassa) per il Vajont. Soldi che non vanno alle vittime del disastro ma ai nostri amati politici con pensioni da 90 mila euro.
La strada per Longarone ho deciso di percorrerla  in bicicletta; sessantasette chilometri, molti dei quali in salita. Sarebbe stato facile andarci in auto, poco meno di un’ora. 

In bici perché per me è stato una specie di viaggio a ritroso nel tempo, un “pellegrinaggio” durante il quale ho meditato su questa immane disastro “Il peggiore nella storia moderna causato dall’uomo” così recita il documento delle Nazioni Unite che ci mostra il bravissimo relatore durante la passeggiata informativa sopra la diga.

E’ impressionante vederla da sopra. Un gioiello dell’ingegneria Italiana, costruito si sa, nel posto sbagliato nella logica spietata e diabolica del guadagno a tutti i costi. Anche a costo di 1910 vite spezzate in un’ attimo in quella che fu una tragedia annunciata.

Avevo sette anni nel 1963. Pochi mesi prima del 9 ottobre ero passato con mio padre, mia madre e i miei fratelli sopra la diga, lungo la strada che porta attraverso il Passo di Sant’Osvaldo giù fino a Cimolais. Un mese di “colonia estiva” era quello che aspettava me mia sorella e mio fratello.

Ricordo il verde smeraldo del bacino dietro la diga, un’immagine che mi è rimasta impressa nonostante la mia giovane età. Era immenso il bacino, a perdita d’occhio si allungava come un mare artificiale.

Mio padre ricordo, chiese ad una signora che abitava proprio lassù vicinissima alla diga. “Come va signora?” E lei rispose in dialetto stretto: “Come volo che la vae sioret, qua prima o dopo vien zo tutt” ( Come vuole che vada, qui prima o poi viene giu’ tutto)

La gente del luogo sapeva, come è stato raccontato in maniera egregia da Renzo Martinelli nel Film Vajont

Sapevano tutto anche gli ingegneri della SADE. Tutti i rilievi fatti davano la stessa risposta. L’area geologicamente instabile non consentiva la costruzione della diga. Si andò avanti, e poi la scellerata scelta di alzare il livello dell’acqua per poter sfruttare al meglio la potenza della diga, l’altrettanto scellerata decisione di abbassare il livello di un metro al giorno, togliendo così l’acqua alla frana, che per assurdo la stava trattenendo. 

Una volta tolta l’acqua la montagna ha ceduto. Il fragore di una frana che fa veramente paura solo a vederla, anche dopo cinquant’anni, lunga due chilometri. Immagino il rumore, la disperazione di chi si è reso conto che non ci sarebbe stato il tempo per scappare. L’onda immensa che vista da Erto

Quattro minuti il tempo che l’acqua (5 milioni di metri cubi) ha impiegato a raggiungere il primo paesino, giù a valle, come ci spiega la nostra guida: ” Al posto del paese di Vajont, proprio sotto la diga, la dove adesso si vede il Piave, è rimasto un lago profondo sessanta metri”

Arrivarono diecimila uomini, tra Americani delle basi di Aviano e Vicenza e dell’esercito Italiano, con elicotteri per evacuare i paesi colpiti.Purtroppo non c’era da evacuare nessuno, erano tutti morti.
E’ impressionante ascoltare il racconto di Marco Paolini che come recita la nota a piè del video “ll monologo Vajont, un’orazione civile, è un’opera trasmessa in occasione del trentaquattresimo anniversario (ossia il 9 ottobre 1997) del disastro del Vajont in diretta su Rai 2.Il soggetto teatrale è la storia della Diga del Vajont e delle circostanze che hanno condotto al disastro, raccontate in circa due ore e mezza. La ricostruzione è il frutto di accurate ricerche e collazioni di documenti ufficiali e fa risalire l’origine dell’intricata vicenda alla fine del XIX secolo. Per l’occasione fu allestito un teatro proprio presso la Diga del Vajont, precisamente nel lato della diga riempito dalla frana e un tempo sede del bacino.
Paolini narra la vicenda che ha portato al disastro della diga con estrema fedeltà ai fatti e alle persone, inserendo di tanto in tanto aneddoti divertenti che alleggeriscono la drammaticità del racconto.”

rende con drammatica lucidità il senso di qualcosa che non doveva accadere ma è accaduto per un calcolo spietato.

La diga è la, con i milioni di metri cubi di frana descritta qui (in Inglese) che sembrano un’intera montagna

ed è giusto che la gente venga a vedere, a capire che cosa puo’ fare la scelleratezza di poche persone quando l’interesse supera il senso comune e la ragione
Ai quasi 800 bambini che sono morti quella sera sono stati tolti la vita, un futuro di giochi di studenti,  di carriera, avrebbero potuto essere dei padri e  delle madri, vivere la loro esistenza come tutti sperano di fare.
Tutto questo è stato negato da persone cattive che hanno ricevuto nei tre gradi di giudizio pene minime e mai scontate, perchè erano protetti dall’alto.
Ecco perchè ho voluto arrivare dalla diga in bicicletta. Ho voluto pensare a tutto questo, mordendo la salita lentamente, con la mia pedalata breve ma costante.
Ho pensato alle vittime,a quella notte terribile, e all’ingiustizia del giudizio umano di fronte ad una tragedia così immane che anche dopo cinquant’anni sembra così attuale e ci fa riflettere su tutte le ingiustizie che ogni giorno si consumano nel nostro Bel Paese, dove convivenze e amicizie troppo spesso riescono a scavalcare il buon senso, sempre e comunque a scapito del popolo Italiano, che si trova a subire delle decisioni prese dall’alto che molto spesso sono ingiuste, come gli sprechi di denaro pubblico,gli stipendi e le pensioni milionarie dei nostri politici.
Se passate vicino alla diga, fermatevi e fate la passeggiata ascoltando il racconto della guida; e’ un’esperienza indimenticabile.

2 Comments

  1. Sono di Venas di Cadore avevo11 anni a quell’epoca,mio padre lavorava in Germania do bebê ritornare il giorno dopo con um ragazzo di 20 anni di un piccolo paese vicino a Longarone,má come c’era una partita di pallone voleva assistere…É cosí é partido prima…arrivato a casa É andato a Longarone al bar….e anche lui é rimasto lí…..mi ricordo sempre le lacrime di mio padre raccontando e dicendo má perché non é venuto con me sarebbe âncora qua…Che tragédia….rip

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